Sull'infame risoluzione del parlamento europeo che equipara comunisti e nazisti

In data 19 settembre 2019 il parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, il testo relativo alla “memoria europea per il futuro dell’Europa”.

Detto documento sancisce che “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze; rammenta che questi valori sono comuni a tutti gli Stati membri” (art.1).

A seguito di molte delibere prese dal consiglio stesso, ed in particolare della risoluzione 1481 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, del 26 gennaio 2006, relativa alla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti, la risoluzione votata il 19 settembre “invita tutti gli Stati membri dell’UE a formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista”(art. 5). Invita inoltre “tutti gli stati membri a celebrare il 23 agosto come la Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari a livello sia nazionale che dell’UE (…)” (art. 8)

In quanto comunisti, i nostri valori sono quelli della libertà, della solidarietà, dell’eguaglianza, dell’emancipazione, del rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e proprio per questo troviamo rivoltante il testo approvato dal parlamento europeo che condanna i nazisti, criminali sanguinari fautori dell’ignobile predominio della “razza ariana”, equiparandoli di fatto ai comunisti, che hanno invece lottato non solamente per la liberazione di tutti dall’infamia nazista ma anche per il progresso e l’emancipazione di tutti gli oppressi del mondo contro i loro oppressori.

In quanto comunisti non possiamo rimanere in silenzio dinanzi alla sordida mistificazione rappresentata dalla risoluzione votata, un documento strumentale al consolidamento di un pensiero unico elaborato dalla classe dominante per affermare la sua egemonia attraverso una ricostruzione apologetica di una presunta “cultura comune europea” che sentiamo il dovere morale di condannare.

E’ nostra opinione che la seconda guerra mondiale trovi le sue origini in ben altre cause, tra le quali, succintamente vogliamo ricordare i trattati di Versailles come esplicitamente criticati da J.M. Keynes nel suo testo del 1919 “Le conseguenze economiche della pace”, in cui definisce quella pace come una “pace cartaginese foriera di nuovi conflitti”. E i responsabili di questa causa prima sono ben altri paesi che non quelli additati dal documento. Ricordiamo poi l’espansionismo tedesco con la guerra di Spagna, l’annessione dell’Austria, l’annessione concordata a Monaco della Cecoslovacchia e dei Sudeti. Gli accordi siglati da Chamberlain e Daladier a Monaco nel 1938 costituiscono l’accettazione di un ultimatum di Hitler nella speranza che la capitolazione alle pretese del fuhrer fosse sufficiente a soddisfarne e quindi frenarne le ambizioni; nella speranza più intima di spostare verso est (leggasi Unione sovietica) le mire tedesche, in fondo nemico comune di Germania, Francia e Gran Bretagna.

L’Unione sovietica si fa latrice presso Francia e Gran Bretagna, di una proposta di un patto di mutua assistenza, di una convenzione militare e di una garanzia ai paesi minacciati da Hitler, con impegno paritario, esteso e impegnativo. La risposta dei paesi occidentali è molto cauta e dilatoria; dice Zdanov che “è mia impressione che il governo britannico e quello francese non siano seriamente intenzionati a concludere un accordo accettabile anche da parte dell’Unione sovietica ma soltanto a condurre delle conversazioni per dimostrare all’opinione pubblica dei loro paesi, la presunta intransigenza dell’Urss e facilitare in tal modo la conclusione di una linea d’intesa con gli aggressori”. Il terrore di una alleanza antisovietica, gli accadimenti in Ucraina che minacciano una nuova manovra espansionistica tedesca, l’andamento della guerra con il Giappone in Mongolia, che fa temere un attacco a tenaglia, fa decidere Stalin a firmare il patto di non aggressione con la Germania nazista.

Identificare il patto di non aggressione come l’atto che ha causato come conseguenza immediata la Seconda guerra mondiale, ed indicare la data della firma del trattato Molotov-Ribentrop come data tipica, così come affermato dalla risoluzione del parlamento europeo, appare essere una affermazione infondata, apodittica e sostanzialmente falsa. Inoltre, non fare nessun cenno al contributo dell’Urss per la sconfitta del nazismo, con i milioni di morti dell’Armata rossa e ignorare momenti storici come la battaglia di Stalingrado che ha costituito l’inizio del crollo dell’esercito tedesco, sono sintomo della strumentalità del documento di cui stiamo discutendo. Su questa strada ci avvieremmo su un pericolosissimo sentiero che ci potrebbe portare ad una condanna dei nostri pensatori comunisti e alla distruzione delle loro opere. Il nostro pensiero va immediatamente agli scritti di Antonio Gramsci, a quei “Quaderni dal carcere” che rappresentano un monumento all’umanesimo comunista, alla riflessione politica, alla filosofia sociale.

Altra grave colpa del documento in questione, infine, consiste nell’alimentare l’altrettanto mistificatoria idea che i processi e gli eventi storici siano il frutto di una sequela di tanti piccoli fatterelli isolati rispetto alle dinamiche strutturali e miopi rispetto ai generali equilibri sovrastrutturali da preservare o meno di una determinata fase. È dunque appena il caso di ricordare che le guerre imperialistiche – seconda guerra mondiale compresa, che scoppiava a seguito di una stagnazione economica paurosa negli anni Trenta - rappresentano i tragici punti di caduta delle crisi capitalistiche, ovvero degli strumenti a cui ricorrere per frenare la caduta tendenziale del saggio di profitto ed eliminare capitali improduttivi.

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